Il Grande Romanzo Americano. Ed in queste quattro parole è riassunta l’immensità di questo libro che John Steinbeck scrisse nel lontano 1939 ma che possiede un’attualità disarmante. Ed è proprio questa incredibile attualità, a quasi un secolo di distanza dalle vicende raccontate, ad aver lasciato su di me il solco più profondo, ancora più profondo di quello dell’aratro sulla terra secca abbandonata dai Joad. Furore non è soltanto un romanzo d’intrattenimento, è un insegnamento, un monito per il presente e per il futuro, uno stimolo a non cedere alla disperazione, uno strumento per ostracizzare gli avidi, i poveri di cuore, gli insensibili al prossimo. Attraverso exempla negativi insegna la carità umana e la solidarietà più di quanto mille sermoni da pulpiti di altrettante chiese potrebbero fare. La grandezza di un’opera si misura da quanto lascia all’umanità e John Steinbeck non poteva lasciare più di quanto ha fatto con questo indimenticabile romanzo.
Furore racconta la storia di una famiglia patriarcale di mezzadri che durante la Grande Depressione, viene sfrattata dalla terra che ha coltivato per generazioni in Oklahoma perché non è più in grado di restituire i soldi alla Banca con cui si è indebitata. Ma la famiglia Joad non è l’unica: la stessa sorte tocca a tutti i mezzadri degli stati dell’Est che, esaurita ogni potenzialità produttiva della terra e introdotti i ruggenti e moderni trattori, si trovano di colpo poveri e costretti ad emigrare. Inizia così un vero viaggio della speranza, con il biblico sogno della Terra Promessa, qui rappresentato dalla fiorente California in cui la frutta cresce fin sulle strade e le case hanno le pareti bianche e guardano il mare in mezzo agli aranci. La California è la terra dove c’è il lavoro, dove si può ricominciare, basta solo attraversare tutti gli Stati Uniti sulla Route 66, a bordo di qualsiasi mezzo di fortuna: madri, padri, nonni, bimbi, donne gestanti, malati, tutti su una carretta in cui sono impacchettate le vite di interi nuclei familiari oltre ai loro sogni. Non si può abbandonare nessuno nella terra natia perché ormai è tutto delle Banche.
« Vi ripeto che la banca è qualcosa di più di un essere umano. È il mostro. L'hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo»
Il viaggio è difficile, accidentato, qualcuno non sopravvive alla fatica ed agli stenti e viene seppellito senza nome. Qualcuno si perde, specie i più deboli che non riescono a credere ad un futuro migliore o che non hanno la tempra resistente degli altri. Ma quando si arriva nella terra dove scorrono il latte ed il miele, si scopre che nessuno dei due è dolce come i Joad e tutti gli altri pellegrini si aspettavano, anzi. La Terra Promessa è più dura delle zolle depauperate dal cotone che avevano abbandonato; la gente li addita come Okie che vogliono portare via il lavoro, che vogliono portare via agli indigeni ciò che hanno; il lavoro c’è ma troppo poco per tutti quelli che lo richiedono e quindi viene svenduto, riducendo alla fame anche i più volenterosi. Ed ancora una volta tutti quei disperati che scappano dalla loro terra natale in cerca solo di un lavoro e di un futuro migliore si trovano alle strette, cacciati, ghettizzati, condannati ed è allora che sale il furore e maturano the grapes of wrath.
«Gli affamati arrivano con le reticelle per ripescare le patate buttate nel fiume, ma le guardie le ricacciano indietro; arrivano con catorci sferraglianti per raccattare le arance al macero, ma le trovano zuppe di kerosene. Allora restano immobili a guardare le patate trascinate dalla corrente, ad ascoltare gli strilli di maiali sgozzati nei fossi e ricoperti di calce viva, a guardare le montagne di arance che si sciolgono in una poltiglia putrida; e nei loro occhi cresce il furore. Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli oramai pronti alla vendemmia»
Non basta l’avidità delle banche, l’intolleranza degli esseri umani, la povertà e la fame, anche la natura si scaglia contro quest’orda di senza patria portando via ogni illusione, seminando morte e rassegnazione. Tuttavia neanche l’alluvione può lavare via la forza d’animo dell’uomo che non si ferma davanti a nulla.
Fortissima fu l’eco che scatenò il romanzo, considerato il capolavoro del premio Nobel Steinbeck: nella querelle letteraria molti furono i sostenitori, che esaltavano la denuncia sociale messa su carta mediante le vicende dei Joad, ma altrettanti furono i detrattori che accusarono Steinbeck di filocomunismo per la condanna nei confronti del sistema capitalista e dei grandi proprietari terrieri a scapito dei braccianti. A prescindere dalle posizioni politiche la grandezza di Furore sta nella sua capacità di dipingere a tutto tondo la potenza dell’essere umano, che pur sfiancato dalle avversità riesce ad affrontarne sempre di nuove.
La narrazione è dura, sintetica, lapidaria tuttavia racchiude delle immagini di unica suggestione, specialmente in riferimento alle descrizioni dei fenomeni ambientali, quasi a giustificare la durezza della vita attraverso la bellezza della natura:
«Una grossa goccia di sole rosso indugiò sull’orizzonte, poi cadde e scomparve, e il cielo era luminoso nel punto dov’era scomparsa, e una nuvola lacera, come uno straccio insanguinato, pendeva sopra il punto dov’era scomparsa»
Furore è un romanzo difficile, graffiante, viscerale, che non si digerisce facilmente, specie oggi, quando aprendo i giornali si vedono le stesse vicende, la stessa disperazione: famiglie senza lavoro e senza casa, padri che non sanno come sfamare i figli, banche che si portano via tutto senza pietà, disperati che intraprendono viaggi che non sanno se saranno in grado di superare per cercare una via di fuga. Ferisce come un pugno nello stomaco: ti svuota l’anima percepire che nulla cambia nel tempo, che l’odio resta intatto nei secoli, che l’intolleranza e l’avidità governano il mondo. Alcune parti inducono una mesta rassegnazione ad un meccanismo più grande ed inesorabile, davanti al quale non ci si può che piegare.
Eppure, latente, sottile, ma potente ed assordante, perdura la forza dell’uomo, che anche se non sa cosa fare e come fare, agisce, non si abbandona, continua ad andare avanti, spinto da una ferrea e provvidenziale inerzia nei confronti della vita che permette di sopravvivere anche quando non c’è più margine per l’esistenza:
«Paura? Un poco. Ma poco. Non voglio pensare, preferisco aspettare. Quel che ci sarà da fare lo farò...»
Furore è Il Grande Romanzo Americano che ogni persona dovrebbe leggere, che dovrebbe essere insegnato nelle scuole di tutto il mondo per insegnare la tolleranza verso il diverso, la solidarietà fra gli esseri umani, la fiducia nel futuro anche se è nero.
Non è solo un romanzo, è un messaggio di speranza, quello che oggi manca.
L'ho letto un annetto fa e mi è piaciuto molto, è uno di quei libri che mi ha coinvolto tantissimo!
RispondiEliminaImpossibile non farsi coinvolgere!
Eliminaè davvero un pugno nello stomaco, steinbeck è grandioso. in generale se si leggesse di più ci sarebbe più tolleranza...
RispondiEliminaPiù che d'accordo!
Eliminanon solo non l'ho letto, ma non l'ho mai nemmeno sentito...
RispondiEliminami trovo nelle condizioni di essere una vera svergognata in questa situazione!
Te lo consiglio davvero! C'è sempre tempo per recuperare||
EliminaCome Patalice!!! Lo ammetto!
RispondiEliminaLalu
www.ilquadernodilalu.it
Nevermind, c'è tempo!
EliminaHey Giulia, proprio ieri il Baffo mi consigliava di leggerlo, che sia destino??
RispondiEliminaSam
assolutamente sì, Sam! Non ho dubbi ti piacerebbe!
EliminaSai che non l'ho letto? Devo assolutamente rimediare, sembra molto interessante!!!!
RispondiEliminaGrazie per questo bel consiglio. Un bacione
dovrò sicuramente leggerlo. mi hai convinta!
RispondiEliminabuona estate
Ilaria
www.nonsidicepiacere.it